Sabato, 27 aprile 2024 - ORE:06:34

La figura dell’artista tra mito e illusione

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Se pensiamo ad un artista ci immaginiamo un uomo o una donna al di sopra della norma, una persona con ”la testa fra le nuvole”, malinconico, affascinante, a volte depresso, del tutto assorto in un mondo puramente esistenziale. Un missionario che porta nella realtà un modo virtuale. Imprevedibile, strambo, affascinante, sono solo alcuni dei caratteri che affibbieremmo a quello che chiamiamo artista. Parlo dell’artista che produce e crea una di quelle che la società moderna chiama ”Belle Arti”: pittura, scultura, musica e architettura. La nostra tradizione culturale ha elaborato un ventaglio di qualità personali che ha contribuito a creare l’illusorio mito dell’artista. Ma come si è andata costruendo questa illusione?

Nella Grecia antica quello che noi chiamiamo artista era il poeta vate, che grazie alla facoltà concessagli dalla Musa poteva cantare le gesta passate dei grandi eroi e declamare la potenza divina, l’aedo recitava tutto a memoria, era investito di ruolo divino di tramite tra il mondo sensibile e il mondo olimpo. Fino all’età Ellenistica gli artisti furono considerati diversi perché in contatto con un mondo divino.

Nel Medioevo la nozione di artista si perse del tutto, fu confusa e inglobata nel guazzabuglio degli artigiani: nel periodo del I sec d.C tutto ciò che prevedeva un impiego manuale era considerato arte servile -in un accezione chiaramente negativa- in contrapposizione alle arti intellettuali, o liberali. La dimensione della creazione che a noi oggi è tanto familiare perchè riconducibile all’Arte in sé, nel Medioevo era relegata alla sfera divina, solo Dio creava.

Con il Neoplatonismo di Marsilio Ficino (1462) la figura dell’artista fa un passo avanti. Ficino considera l’artista al pari di Dio, perchè così come Dio ha creato il mondo nella sua perfezione così anche l’artefice crea l’opera nel modo più completo possibile. Arriva il discrimine tra il fare e il creare, il creare era nozione solo divina, l’uomo faceva ma non creava, con Ficino invece l’uomo crea, l’uomo è considerato un dio in  terra perchè piega la natura alle sue esigenze e la abbellisce ulteriormente. Tuttavia ancora non è chiara la  distinzione tra artigiano e artista, creare ancora ha accezione di ”manufatto”, la nozione di opera d’artte ancora non esiste. Il più grande contributo lo daranno Leonardo da Vinci e Leon Battista Alberti, siamo in piena età umanistica. Leonardo di batte affinché le parti plastiche siano considerate nel novero nelle arti liberali, ora infatti e la creazione prevede una riflessione spirituale e intellettuale, l’artista divino si distingue dall’artigiano. Ci sono norme e conoscenze relative solo alla pittura o alla scultura, Leon Battista Alberti afferma che l’arte plastica è la maestra delle arti, poiché produce una conoscenza ulteriore e più profonda della realtà.

Il mito della personalità stravagante, o comunque fuori dalla norma degli artisti si acutizza con i le ”Vite” di Giorgio Vasari (1550), l’opera è tutta avvolta da un clima di favola, gli artisti appaiono come esseri diversi, geni incompresi la cui vita è segnata da eventi stravaganti. per primo Vasari parlerà dell’influenza dei pianeti nella vita dell’artista, specialmente di Saturno, che influisce sull’umore e il carattere. La Melancolia è lo stato umorale in cui si trovano tutti gli artisti, una ”bile nera” che permette una profonda introspezione, uno stato in cui l’anima si ripiega su se stessa e raggiunge i lati più profondi dell’intelletto. L’artista risulta essere un personaggio cosciente più degli altri del segreto di vita e di morte.

All’artista vengono attribuite qualità caratteriali specifiche, al limite dello strambo, la sua figura è circondata da un’aura di sacralità. Questa situazione perdura fino al XX secolo, in cui si fa un ulteriore passo in avanti: nasce la letteratura d’artista in tutta Europa, e conseguentemente anche la figura dell’artista scapestrato- behemien. Ogni corrente letteraria elabora un proprio ideale di essere artista, così che nella miriade di esemplari si finisce per non averne nessuno certo. Con l’avvento della rivoluzione tecnologica e l’informazione di massa, l’arte diventa prodotto commerciale. L’artista prende atto del pregiudizio venutosi a formare nei suoi confronti e cavalca le illusioni della società per fare di lui stesso un personaggio: Picasso, Dalì e Warhol sono alcuni esempi lampanti dell’artista che si comporta proprio come la società di massa si aspetta da lui (Picasso uomo strambo e fascinoso da una parte, l’eccentrico Dalì dall’altra). Tutto questo per farsi conoscere meglio dai mass media e conseguentemente, scusate la schiettezza, vendere meglio i lavori.

La tradizione occidentale ha dunque maturato la convinzione che l’artista sia un uomo di particolari doti personali, che abbia un carattere strambo, che sia eccentrico (termine poi estremamente vago e generico) e abbia ”un mondo tutto suo”. Tuttavia la critica dell’arte, la storia e l’antropologia dell’arte hanno ormai consolidato la teoria che non esiste uomo che sia fuori del suo tempo, quindi come tutti noi siamo figli della nostra epoca e ne portiamo i segni così sono gli artisti. Questi non sono uomini fuori dal normale, bensì perfettamente inseriti nella società che li ha prodotti come esseri sociali. La melancolia non è un presupposto necessario per fare arte, la sensibilità tanto meno. Si può essere artisti e non essere dei depressi cronici come si può benissimo essere persone sensibili senza essere artisti. Non c’è una legge che dichiari un canonico status interiore di Artista. Tutti gli uomini hanno una dimensione spirituale e profonda, chi più chi meno. Non dobbiamo farci ingannare dal fatto che se qualcuno crea qualcosa che ci stimola o ci ipnotizza allora significa che questa persona sia una sorta di genio miracolato.


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