Giovedi, 18 aprile 2024 - ORE:23:13

“La Merda”: decalogo del disgusto di Christian Ceresoli con Silvia Gallerano

Gallerano

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Quintessenza della volgarità nella celebrazione del contemporaneo

“E’ una tragedia in tre tempi: le cosce, il cazzo, la fama, e un controtempo: “l’Italia”  dichiara Christian Ceresoli, autore dell’originale e spiazzante drammaturgia de La Merda, il primo capitolo del Decalogo del Disgusto, composto in occasione dei 150 anni dell’unità d’Italia.

Un monologo femminile, strutturato come un flusso di coscienza, che prende le sembianze di un vero e proprio macabro processo alimentare: nutrimento, trasformazione e defecazione,  rinnovando il disgusto quando in conclusione, con un Inno di Italia dalle parole mangiate che risuona nelle orecchie, ci si rende conto che è proprio la materia espulsa a rappresentare nuovo nutrimento.

La maestria di Silvia Gallerano

La narrazione si articola fra i ricordi della giovane, alternandosi in un bipolarismo straniante nel quale si passa da un candore in un certo senso frivolo alla più violenta concretezza quando nello sfociare dell’incontrollato ci descrive, rivolgendosi più a se stessa che al pubblico in sala, il suo obbiettivo finale. Protagonista e unica interprete Silvia Gallerano, prima attrice italiana a vincere lo The Stage Award for Acting Excellence 2012 come Best Solo Performer, il più alto riconoscimento per attori/attrici all’ Edinburgh Festival Fringe.
E’ lei ad accogliere l’ingresso del pubblico, arrampicata sul trespolo al centro del palco, canticchiando sommessamente con voce di bambina, la quale andrà lentamente  perdendo tutta la sua ingenuità  e il suo candore  sporcandosi sempre di più nel procedere della narrazione.
Maschera sia fisica che vocale, capace di portare sulla scena una nudità che grida pietà, un corpo straziato che perde tutta la sua femminilità erotica, trasformandosi in un vero e proprio manifesto pubblico.

Schermata 2013-05-15 a 18.16.18Nudità, violenza e candore

Il personaggio della Gallerano non si ribella, si “abitua”, non cerca di combattere ma si rassegna, dandosi in pasto, vittima sacrificale consenziente, ad un sistema che si nutre di chi nel perseguire l’utopia di un sogno privo di sostanza, si abbandona al flusso per poi venirne risucchiata.

Rinchiusa, sul palco, in un unico e contrastato quadrato di luce, sua prigione e suo unico spazio, che lentamente le si stringe intorno e le si riversa addosso quando nel grido prende le vere sembianze  quel suo mostro interiore che ci rivela le piaghe di quel corpo martoriato che non può far altro che cercare di muoversi  restando posato su quel suo trespolo senza via di fuga.
La nudità esposta della Gallerano urla e si stravolge ferendosi in un autolesionismo stremato ed esasperato, mentre affonda incatenata ad una sorta di cecità imposta, di ingenuità forzata nel gorgo nero di un arrivismo sanguinario.

Mai ci si sofferma sulla nudità tanto è feroce l’interpretazione della Gallerano, che riesce a dare molto di sé al testo vestendosi di esso, raccontando la storia di colei che cede al gusto, alla necessità, ai desideri nutrendosi sfamandosi, inghiottendo tutto quello che possa promuoverla come femmina nuova e diversa e che possa aiutarla a disperdersi e ad oggettivarsi nella società.
Difficile distaccarsi dalle vicende narrate sul palcoscenico, così come è difficile separarsi da quel sentimento di adesione, di complicità causato nel riconoscersi, nel ritrovarsi incastrati all’interno del pantano che viene narrato dall’opera di Ceresoli. Un meccanismo torbido che presenta ben poche alternative allo spettatore, costretto a sporcarsi le mani e ad attuare un procedimento espiatorio che coincide nell’esplosione  di un applauso che forse ci vuole tutti complici della tragedia.


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