Sabato, 27 luglio 2024 - ORE:05:26

Gadda e la critica a “La grande guerra” di Monicelli

La Grande Guerra

Il secondo dopoguerra

La clamorosa sconfitta politico-militare di Caporetto, a cui lo scrittore Carlo Emilio Gadda partecipa con coraggio e sacrificio, in nome di quegli ideali patriottici che vennero traditi, rappresenta una delle pagine più buie della nostra storia. Troppo spesso viene riposta in un cassetto della nostra memoria. Non è un caso che fino agli anni ’50-’60 parlare della Prima guerra mondiale, in particolare della “vittoria mutilata”, fosse un tabù, da evitare assolutamente. Le faccende belliche, infatti, non dovevano essere trattate nelle pellicole di casa nostra.

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Il secondo dopoguerra è un momento decisivo a livello cinematografico, dominato dalla stagione neorealista e dalla sua eredità. Qui si inserisce un autore di grande respiro che sfida l’opinione pubblica: Mario Monicelli, con  il film comico “La grande guerra” , uscito nel novembre 1959. Viene considerato come uno dei padri della cosiddetta “Commedia all’italiana”, insieme a Risi e Comencini.

“La grande guerra” (1959) viene prodotta da De Laurentis, sceneggiata sapientemente da persone colte e letterate del calibro di Age e Scarpelli, Vincenzoni e Monicelli, ed accompagnata dalle note musicali di Nino Rota. Rappresenta il primo film storico-comico sulla Prima guerra mondiale, ma è antieroico per l’agghiacciante comicità dei due protagonisti. Un capolavoro che  riscuote un successo strabiliante nelle sale cinematografiche italiane, dove gli spettatori guardano divertiti ai due protagonisti: il romano Oreste Iacovacci (Sordi) e il milanese Giovanni Busacca (Gassman), due uomini sulla quarantina che diventano amici e compagni di moltissime disavventure belliche.

locandina-la-grande-guerraLa Grande Guerra

Dopo lo scoppio della guerra, Busacca, appena uscito di prigione, viene chiamato alle armi. Con un tentativo di corruzione, cerca di non partire, fingendosi malato. Iacovacci accetta la quota e mettendo in scena una situazione credibile, inganna il milanese. I due si ritrovano, qualche tempo dopo, arruolati nell’esercito e costretti a condividere le sofferenze della guerra. Da “nemici” diventano amici, facendo coppia fissa in tutte le missioni, provando a scamparle il più a lungo possibile. Nelle camerate sono conosciuti come i più scansafatiche. In trincea assistono alle crudeltà della guerra. Un giorno Busacca e Iacovacci vengono scelti come messaggeri da un loro superiore, perchè i più inefficienti. Ma durante il ritorno si fermano in un pagliaio, ignari del fatto che è occupato dai nemici. Decidono così di prendere i cappotti dei tedeschi per cercare di scappare, ma senza successo. Catturati e portati dall’ufficiale, rischiano la fucilazione, a meno che non tradiscano la loro patria per rilevare delle comode strategie di guerra. I due amici decidono di morire da eroi agli occhi dei loro campaesani,anziché da vili e da codardi. Intanto l’esercito italiano riesce a vincere la battaglia contro l’impero austro-ungarico e quello tedesco. Gli altri soldati, ignari della loro morte, esclamano: ” E pensare che anche stavolta  quei due lavativi se la sono scampata”. Un finale tragico e amaro, ma sempre velato da un’agghiacciante comicità.

attilio-bertolucci“No, non dovete toccarmi Caporetto”

Nonostante il grande apprezzamento da buona parte del pubblico, come il cineasta Renè Clair e il letterato Emilio Lussu, il film di Monicelli viene “bombardato” dalle aspre critiche di Gadda, che con tono risentito esclama:”No, non dovete toccarmi Caporetto”. Attilio Bertolucci, poeta e amico di Gadda, lo invita a mettere per iscritto le sue osservazioni su “La grande guerra”. Scrive così un articolo di giornale, intitolato “Dal Carso alla sala di proiezione”, pubblicato sul numero del 10 dicembre 1959, un mese dopo l’uscita della pellicola.  Accompagnato da un’epigrafe del giornalista Giulio Ungarelli, che spiega ai lettori quanto segue:” Abbiamo chiesto a uno dei più famosi scrittori italiani, Carlo Emilio Gadda, che partecipò con coraggio e sacrificio alla guerra del ’15-’18, lasciandone buona testimonianza nel «Castello di Udine» e nel «Giornale di guerra e di prigionia», di esprimere per i nostri lettori un giudizio motivato, di uno che c’è stato, sul film moto discusso e di grande successo che si intitola «La grande guerra»”.

Gadda critica la realtà di oggi, di quel pubblico degli anni ’60, che non può comprendere fino in fondo la tragicità della guerra di trincea, perché non l’ha vissuta sulla propria pelle.”E’ un’atmosfera oggi difficilmente rievocabile”, confessa Umberto Saba, poiché appare confusa e schematizzata alla memoria, anche di chi l’ha sperimentata. Ma non per Gadda, che ricorda bene quella realtà, segnata da copiosi errori tecnici, dall’impreparazione logistico-militare, dalla mancanza di armi, dall’egoismo, e dalla trascuratezza da parte dei combattenti e dei comandanti.

Si scaglia contro il “cervello degli spettatori” che non conosce il senso del dovere, del sacrificio e del patriottismo. Ideali che, nel bene o nel male, Gadda ha nutrito, quando nel 1915 l’Italia decise di partire volontario,  con l’idea (sbagliata e smentita fin da subito) che si trattasse di una guerra lampo.

Carlo Emilio Gadda ha appena ventiduenne quando partecipa come volontario alla guerra, e viene preso nel reggimento del 5° Alpini. Il giovane concepisce l’ostilità bellica in termini post-risorgimentali, vale a dire come la “Quarta guerra d’indipendenza”per l’annessione di Trento e Trieste, ancora sotto il dominio austriaco.  L’apparente entusiasmo bellico ha breve durata: Gadda scopre una realtà ben diversa da come l’aveva immaginata. Un’esperienza dolorosa che lo segna psicologicamente e lo delude a livello ideologico, annotata nel suo scritto autobiografico “Giornale di guerra e di prigionia”. Gli anni della guerra rimangono una “ferita aperta”, mai ricucita per il povero scrittore, che dopo essere stato fatto prigioniero a Caporetto, internato in un lager di Celle, in Alta Sassonia, ha saputo della scomparsa dell’amatissimo fratello Enrico, mentre era in volo. Un autentico trauma post-bellico. Per Gadda nessuno deve deridere la grande guerra, motivo per cui si accanisce contro Monicelli, perché chi ha davvero vissuto quegli anni, non può sminuire la tragicità bellica con battute facili.

gaddaGadda: “Il pubblico ride, non capisco cosa c’è da ridere”

Con queste parole dirette e amare, estratte dal suo articolo “Dal Carso alla sala di proiezione”, Gadda condanna tutta la nazione italiana, “sprovveduta e bamboccesca”, ribadendo che “non è facile essere patrioti nella patria italiana” . Affermazioni che trapelano tutta la sua indignazione ed irritazione, a causa del comportamento divertito degli italiani, che cedono il passo alla comicità di Sordi e Gassman, in un modo che raggiunge l’oscenità e l’immoralità. Gadda è convinto che il pubblico straniero, francese o tedesco che sia, non riderebbe di fronte alle vicende antieroiche di due soldati inetti e sfaticati, anzi proverebbe un senso di turpitudine e di vergogna. Il motivo? Fuori dell’Italia, nei paesi protestanti o in quelli cattolici rigorosi, c’è più rispetto, senso etico e contegno verso gli autentici soldati, il cui militarismo è severo e sentito. Paesi che tengono all’onore, alla stima, alla propria reputazione all’estero, a differenza del popolo italiano, che prova quasi indifferenza verso l’opinione altrui. Leopardi riconobbe, a suo tempo, il cinismo d’animo degli italiani, che ridono sempre, anche di se stessi; un autentico sintomo di miseria etica, in quanto non prendono niente sul serio, si deridono da soli.

Pasolini

sordiPasolini:“La comicità di Sordi, gli stranieri non ridono”

Come mai la comicità di Sordi, attore di punto del panorama cinematografico italiano, non viene apprezzata all’estero?   Ce lo spiega Pier Paolo Pasolini, cineasta e scrittore bolognese, che nel ’60 pubblica un articolo intitolato per l’appunto “La comicità di Sordi, gli stranieri non ridono”,  comparso su “Il reporter” .  Se in Italia Sordi possiede il monopolio del riso dagli anni ’50, in paesi come Francia, Germania o Gran Bretagna, non viene apprezzato. Il motivo è da riscontrare nel fatto che in queste nazioni, dominate da un forte senso civico e morale, l’umorismo tagliente dell’attore romano si pone in avversione con il loro modo di vivere e di pensare. Non riescono a sorridere, ancor meno a divertirsi, davanti alle azioni e alle battute facili, e fuori luogo, di Sordi, che ricopre ruoli poco onorevoli.
Nel momento in cui viene girato il film, il sentimento alla guerra è cambiato: il concetto di patria non esiste più, si è svuotato dopo il Fascismo e la devastante Seconda guerra mondiale. Il dovere militare e gli ideali, nutriti dai volontari del ’15, vengono quasi derisi e sbeffeggiati, come se si trattasse di qualcosa di vuoto e di retorico. “La grande guerra” non fa leva a sufficienza sui caduti in battaglia, e su quei valorosi soldati che incarnano il volontario convinto di morire per la libertà della patria. Secondo Gadda, Monicelli è come se volesse rimuovere il ricordo autentico di quel dramma.

La risposta di Monicelli

In un’intervista, il regista de “La grande guerra” risponde alle osservazioni critiche mosse dallo scrittore, definendolo un “vecchio trombone”. In più ribadisce come il suo principale intento fosse suscitare il riso e far divertire la platea. Nonostante la pellicola fosse velata da un forte senso dell’ humour all’italiana, c’è anche un tono tragico che raggiunge l’apogeo nella parte conclusiva del film, quando Sordi e Gassman vengono fucilati dai tedeschi. Monicelli, a tal proposito, si rivolge alla giornalista, Luciana Sica, dicendo:” Ha mai visto una storia con due attori comici che finiscono fucilati? Gadda dimentica una scena fondamentale, che racchiude il senso del film: è quando nel paese si preparano all’arrivo dei reduci con tanto di palco e di banda pronta a suonare. Si vede questa colonna di disgraziati, fantasmi muti che avanzano barcollanti, mentre nella piazza piomba il silenzio…Non è una condanna efficace della cultura bellicistica?”.

Gadda ha tuttavia apprezzato la veridicità di Sordi e di Gassman, che restituisce abbastanza bene la tipologia media del milite italiano, contrassegnato dalla paura e dall’ozio. I due attori è come se ricalcassero uno stereotipo: “il romano furbo” e il “milanese snob” , che si battibeccano in continuazione. I proverbi, i dialetti, i modi di dire, presenti nel film, simboleggiano un linguaggio medio-basso, poiché nei primi anni del Novecento la lingua italiana è ancora qualcosa d’élite, per pochi, non parlata da tutti. In Italia , infatti, serpeggia un tasso di analfabetismo incredibile: molti soldati faticano a capire gli ordini, e in tanti non sanno nè scrivere né leggere.

Riflessione

Quello che Gadda ha cercato di difendere, attaccando la nazione italiana, è il rispetto per i giorni terribili del Carso e del Piave, in cui persero la vita 650.000 soldati, portati per la prima volta sullo schermo dal film di Monicelli. Lo scrittore avrebbe voluto vedere nei suoi compaesani, un po’ più di empatia, di etica e di cuore, verso quelle vittime innocenti che partirono per il fronte, ma che in milioni non fecero più ritorno. Ciò che mancava agli spettatori italiani degli anni ’60, di fronte a “La grande guerra”, era il dono della sensibilità e della moralità, qualità appartenenti al pubblico estero. Ed è proprio quest’assenza di virtù che ha scatenato la rabbia, l’amarezza e il disagio, di un uomo così sensibile come Carlo Emilio Gadda.


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