Martedi, 15 ottobre 2024 - ORE:06:08

Luci, proiezioni, jazz e lirica: un fine settimana alle prese con il teatro epico

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Sabato 11 e Domenica 12 Febbraio, presso il teatro G. Verdi, la città di Pisa ha riscoperto un gigante del teatro del ventesimo secolo: Bertolt Brecht con “ L’opera da tre soldi ”, una delle composizioni meglio rappresentanti la nuova forma di teatro epico anziché drammatico -, elaborata da Brecht stesso con il supporo di compositori quali Kurt Weill.

L’opera si presenta fin dal primo atto nella sua singolarità : un narratore inaugura ogni scena anticipando al pubblico ciò che accadrà, privandolo del gusto della momentanea scoperta; ogni parte lirica o recitativa si trova inoltre costantamente accompagnata da proiezioni di immagini o spezzoni di video in bianco e nero, oppure da manifesti ingigantiti da un sapiente uso di luci e fondali.

Tutto ciò a prima vista pare strano, e non poco : è proprio questo l’effetto che Brecht ricerca nelle sue opere: lo spettatore sacrifica ogni immedesimazione in trama e personaggi per raggiungere uno stato di vero e proprio straniamento dall’ opera , per poter giudicare autonomamente , in modo critico ed oggettivo – senza alcuna influenza soggettiva dovuta al coinvolgimento emotivo nella trama -, le vicende presentate dall’ autore.
La scenografia è scarna ed essenziale, ponendo così l’accento sui punti essenziali della scena sfruttando, insieme all’abbattimento della “ quarta parete “ con il pubblico, un allestimento selettivo del palco.

Nonostante la ricerca dello straniamento la trama de “ L’opera da tre soldi “ non è priva di messaggio ; la trama è ispirata alla “ Beggar’s Opera “di John Gay, ed è una parodia del melodramma classico : la figlia di Peachum , uomo che controlla la maggior parte dei mendicanti londinesi , si innamora del “ capitano “ della malavita Mackie Messer, uomo scaltro, dalle multiple personalità – ed altrettanti legami sentimentali -, un vero asso del crimine. La vicenda si articola in un mondo fatto di tradimenti, ruberie, prostituzione, povertà e gesti di indicibile crudeltà e vigliaccheria, resi possibili dal potere – e dal bisogno – di denaro. E’ infatti proprio questo che spinge ad agire così Messer come tutti gli altri: l’avanzare incessante dell’ industrializzazione e l’ instaurazione del moderno e tutt’ora presente culto dell’ “ homo homini lupus “, presentato sotto il nome di “ competitività “ o “ progresso “. Queste le riflessioni che esterna al terzo atto lo stesso Messer : ma non è questo un finale troppo tragico per essere vero? Ai più scettici Brecht riserva addirittura un’ altra conclusione, tanto lieta quanto irreale. Così Brecht conclude un’ opera innovativa, in una dimensione – quella del teatro -, in cui il suo genio trova espressione in molte delle sue sfaccettature, proponendo in modo immediato uno spunto di confronto fra ciò che pensa l’autore e ciò che elabora lo spettatore.


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